l progetto Sweetalks nasce per dare un approccio diverso al tema del diabete, non parlando solo della patologia da un punto di vista medico ma anche umano e vicino alle persone

luglio 24, 2015

Monica

Faccio, non farei. Voglio, non vorrei. Realizzo, non realizzerei.

Riconosci nel giro di cinque minuti le persone che hanno deciso di abbandonare quella formula verbale insicura, sfiduciata e piena di alibi che prende il nome di condizionale, e parlano quasi sempre utilizzando l’indicativo…presente.

Hanno consapevolezza del loro peso specifico e della gravità dei loro passi sulla terra.

“Sono qui, ora” : non lo dicono, lo dimostrano.

Faccio, non farei. Voglio, non vorrei. Realizzo, non realizzerei.

Monica Priore è una donna e un’atleta “all’indicativo” che si descrive così:

caparbia, sognatrice, amante della vita.

Penso al binomio fortunato dei primi due aggettivi: mi sta dicendo che lei non è una da sogni nel cassetto. Li tira fuori, uno a uno e li fa diventare reali. In che modo? Amando la vita.

Si è descritta in tre parole, ma il quadro è chiaro.

“Io non sono il mio diabete” mi dice.

Certo Monica, si vede sai? Si vede che sei tantissime cose, ma di certo non una patologia.

A cinque anni le viene diagnosticato il diabete mellito di tipo 1.

“Pur essendo piccoli si avverte con chiarezza il fardello della malattia e il peso della diversità”, mi dice. Ritmi scanditi dall’insulina e dai controlli glicemici, regole standardizzate e limitanti, lo sconforto e la rabbia di avere a che fare con una patologia cronica. Oggi a livello scientifico si sono fatti passi da gigante, ma il diabete è una malattia subdola che può manovrare la tua psiche. E’ un attimo dirsi: “Non lo posso fare perché ho il diabete”. E’ un attimo entrare in un vortice la cui parola chiave è no. Invece Monica ha deciso per il sì e lo afferma con la sua solarità pugliese, dirompente ed energica.

Lo dicono i suoi occhi, il suo sguardi tenace, la sua fame di vita.

Lo dicono le sue azioni. E’ la prima atleta con diabete di tipo 1, ad aver attraversato a nuoto il golfo di Messina.

“Mi ero sempre allenata in piscina, e non era preparata al mare aperto. I primi cinque minuti ho provato ansia e affanno, ma poi ho pensato alle persone che mi aspettavano dall’altra parte, ai bambini diabetici che facevano il tifo per me… ho isolato la testa e ho nuotato”

Forte di quell’incoscienza che anima artisti e avventurieri, si cimenta in seguito nella Capri-Meta. 17 km, che a causa del vento di Maestrale diventano 21. Il golfo di Napoli la mette a dura prova “Ma non a causa del diabete, ho avuto il mal di mare” mi dice ridendo.

Del diabete parla come di una vecchia conoscenza, un amico-nemico che ha le sue esigenze, che non può e non vuole essere ignorato, ma che lei ha imparato a gestire e arginare.

L’elemento acqua non è stata la sua prima scelta, piuttosto si è trattato di un ripiego fortuito. Monica nasce come pallavolista, ma quando la squadra entra in Federazione nessun medico le vuole rilasciare il certificato per l’attività agonistica. Seduta in panchina osserva le partite con frustrazione, pensando che potrebbe dare il suo contributo. Si sente un animale in gabbia.

Lascia la pallavolo e comincia a nuotare. Se le dicono di fare solo 5 vasche, lei ne fa 10. Non vuole trattamenti di favore, non vuole dare meno. “Questo”, mi dice, “E’ un modo sbagliato di porsi. Stai rimarcando il fatto che ho un problema, mi stai ricordando che sono diversa.” Diversa lo è, ma nel senso di speciale.

A 28 anni entra nella squadra Master Sottosopra e partecipa ai campionati regionali, 400 stile libero. Vince la medaglia di bronzo.

“Non avevo detto di essere diabetica, non mi avrebbero lasciato gareggiare. Eppure ho vinto”

Questa giornata è una pietra miliare nella sua vita. Scatta qualcosa, una consapevolezza nuova, nitida e incontestabile: lei è più forte del sul diabete.

Contatta le testate giornalistiche locali, vuole raccontare la sua storia. Vuole che se ne parli, che si interrompa il muro di ignoranza e la barriera di luoghi comuni su questa malattia.

E’ una valanga e non si ferma più. Informare, parlare, comunicare, raggiungere più persone possibili diabetiche e non.

Scrive un libro, “Il mio mare ha l’acqua dolce”. Ci mette tre anni perché vuole parlare del diabete a 360°, sottolineando anche l’aspetto emozionale. La psiche è la parte più dolorosa e difficile da gestire… e poi c’è la famiglia. I genitori, quelli che lei chiama “diabetici di tipo 3”, affossati da sensi di colpa, inermi, incapaci di accettare la malattia del figlio. “E’ genetica, non è prevedibile” mi dice Monica, “Eppure un genitore se ne fa carico, seppur inconsciamente”

E’ quindi un processo di accettazione attivo, non passivo, quello che propone. E’ la possibilità di vivere una vita non solo normale, ma straordinaria. E non è la sua incoscienza che parla, piuttosto la sua consapevolezza, il suo storico, lei che ha sempre sofferto di crisi ipoglicemiche gravi, di ipersensibilità all’insulina, lei che ha dovuto impostare la terapia in maniera diversa. Lei, l’atleta, la donna entusiasta che mi parla del suo ultimo progetto “Volando sulle onde della vita” un tour che partirà il 28 giugno e si concluderà il 29 agosto e che toccherà tutte le regioni italiane. Monica nuoterà in laghi, fiumi e mari. L’intento è quello di creare attenzione sul tema del diabete, promuovere l’attività fisica, fare in modo che le persone ne parlino e si interessino. Un’impresa titanica, che vede la partecipazioni di numerose associazioni sportive che non hanno niente a che vedere col diabete, ma che si sono dimostrate disponibili e sensibili alla sua impresa.

Me la immagino, il 28 giugno a Gallipoli e poi via via in tutte le tappe fino all’ultima a Sorrento. Puglia e Campania le sue due case, le regioni che l’hanno vista crescere e accreditarsi come atleta. Me la immagino mentre si prepara, forse con la divisa della Nazionale di nuoto che le è stata donata dalla Fin (Federazione Italiana di Nuoto), pronta per tuffarsi in mare. Poco prima un ultimo controllo glicemico e una canzone nelle orecchie, colonna sonora di ogni sua avventura: Gig Robot d’acciaio…e cos’altro se no? In fondo è di una donna d’acciaio che stiamo parlando.

 

Intervista a Monica Priore