luglio 24, 2015
Roberto
La cosa bella è che al mio cane non devo dire che ho il diabete. Lui lo sa
Roberto è arrabbiato.
Me lo dice. Più di una volta.
Eppure man mano che parliamo a me sembra, soprattutto, stanco.
La rabbia è accecante e inquieta. Roberto invece è lucido e calmo.
La sua testimonianza per me è molto importante. E voglio riportarla nel modo più veritiero possibile.
Perché si può edulcorare il caffè, non una vita.
E parto dalla fine. Dall’ultima domanda: “C’è qualcosa che il diabete ti ha insegnato?”
La risposta è no. “Mi ha solo reso più debole. Al diabete addosso tutte le colpe, tutto ciò che nella mia vita non è andato nel verso giusto.”
Sono parole molto forti, lapidarie… Ma vanno inserite all’interno di una cornice per capire la complessità del quadro.
Proviamoci.
E’ indubbio che rispetto a questa patologia si siano fatti, negli ultimi anni, passi da gigante.
Se parlo con bambini o adolescenti diabetici, il tono è molto più leggero. E non si tratta di irresponsabilità, incoscienza o inconsapevolezza.
La medicina è migliorata. L’informazione è aumentata in maniera esponenziale, la conoscenza di chi lavora in ambito ospedaliero si è rinnovata.
Il mezzo è cambiato. Prima, per controllare la glicemia, ci si bucava con la siringa. Si aveva paura di essere considerati tossicodipendenti o, magari, portatori di una malattia infettiva.
E in ogni caso, era un’operazione dolorosa.
Cosa significava avere il diabete 30 anni fa?
Poteva voler dire, ad esempio, non capire cosa stesse succedendo nel proprio corpo; non trovare nessuno in grado di spiegarlo; non avere idea delle cause ed essere spaventati dalle conseguenze. A 23 anni Roberto incontra il diabete, e quello che gli viene prospettato è uno scenario terrificante.. se non ti curi ti succederà questo..
I perché sono tutti abbandonati, tralasciati. I punti di domanda sostituiti da perentori punti esclamativi.
Il dialogo azzerato.
In condizioni come queste, è molto difficile riuscire a restare a galla.
Si viene sommersi da un mare di dubbi, negatività, paure che ti portano sempre più a fondo.
Roberto decide di isolarsi, lascia gli amici, ai quali non vuole e non sa dare spiegazioni. Semplicemente scompare.
Non ne parla neanche al lavoro.
Con una sola persona affronta il discorso: la donna di cui si innamora e con la quale si sposa.
“Siamo sposati da 28 anni, mi dice. Lei mi vuole sempre spronare, anche nei momenti di grande difficoltà..Ancora adesso, se non ci fosse lei non prenderei le medicine”
“Perchè no?”
“Non lo so…è molto complesso”
Sono tante..17 al giorno, a causa di altri problemi di salute che si sono aggiunti e che hanno poi portato al licenziamento. Roberto faceva la guardia notturna, ma il medico legale gli ha tolto l’idoneità.
Quindi.
Fermiamoci un attimo.
Perché voglio ragionare sul fatto che Roberto è qui a parlarmi di sé, e sa che io scriverò di lui, e sa che altri leggeranno la sua storia.
E allora, possiamo anche girarci intorno, ma qualcosa è cambiato. Qualcosa che non è piccolo e si chiama “mettere il proprio mondo personale a servizio di altri”, perché ne traggano l’esempio e la morale che vogliono. E’ un dono grande. E’ un atto di generosità immenso.
Mi viene da chiedergli:
“Se potessi tornare indietro negli anni, cosa diresti al te ragazzo che scopre di avere il diabete?”
“Direi forza e coraggio, perché li hai.. Vai avanti!”
“E perché non lo dici al te stesso di oggi?”
“Mi sembra tardi..”
Ma tardi non è.
Quando si ha una famiglia che ti ama, non è tardi.
Quando ci sono persone con cui condividere un fardello, che diventa così meno pesante, non è tardi.
Quando ci sono associazioni che creano progetti di grande valore sociale e umano, come il progetto Serena, non è tardi.
Roberto ha un cane, un cucciolo di 5 mesi. Si chiama Iago e sta seguendo l’ addestramento per riconoscere quando il padrone va in ipoglicemia.
“La cosa bella è che al mio cane non devo dire che ho il diabete. Lui lo sa.”
E’ vero. La forza del rapporto con gli animali risiede anche nella non verbalizzazione. E’ puro istinto e sentimento.
“Da quando faccio parte di questo progetto, mi sento diverso. Cerco di rendermi utile per gli altri, chiedo agli organi competenti e alle varie circoscrizioni di assegnarci spazi recintati per poter proseguire le nostre attività.”
Il tempo di un’intervista, per ricordarmi , ancora una volta, che non è tardi.
E che il cambiamento è in noi. Inarrestabile.
Intervista a Roberto Casale